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S. Pietro in BevagnaVicino Taranto, in Puglia, immersioni su siti ancora inesplorati.Tra secche e fondali d'acqua dolce.
S. Pietro in Bevagna. Un paesino certamente sconosciuto a molti, in provincia di Taranto, in Puglia. Immerso nel verde della macchia mediterranea e bagnato dal Mar Ionio, questo piccolo centro richiama subito alla mente uno scenario più tipicamente marocchino che italiano. Si tratta di una zona del "tacco d'Italia" che viene, a torto, sottovalutata dalla maggior parte dei subacquei di casa nostra. Sono numerosi e interessanti infatti gli spunti naturalistici, storici e biologici offerti da quest'area. La nostra meta è la "Secca dell'Ovo", situata a poche centinaia di metri dalla riva e molto estesa, con numerosi punti interessanti e una fauna estremamente varia che caratterizza tutto questo tratto di mare. L'ancora è adagiata su un fondo sabbioso di 10 metri, ma la giornata estiva di assoluta bonaccia non ci fa temere per la sua tenuta. Giunti sul fondo pinneggiamo dalla parte opposta alla costa e dopo pochi metri appare di fronte a noi una cigliata che scende a sbalzi fino a circa 21 metri, creando un'alternanza di terrazzi e pareti che rende il fondale vario e accattivante. La roccia è ricoperta di alghe, ed esemplari di Halimeda tuna e Padinia pavonica appaiono molto numerosi. Il fondo ai piedi della parete è costituito da sabbia e grossi cespugli di posidonia oceanica. La luminosità, grazie alla luce riflessa dal fondo chiarissimo, è ottima anche se, a causa dell'estrema facilità con sui si solleva il sedimento, la visibilità non è buona. Ci dirigiamo verso Sud, con la parete alla nostra destra. Non notiamo la presenza di molto pesce pelagico, ma i nascondigli offerti dalla roccia, completamente percorsa da intrecci di fiori e cunicoli, sono numerosi. Con la torcia cominciamo ad esplorare gli anfratti che sembrano più interessanti; gli abitanti infatti non si fanno attendere: un grosso grongo e un polpo, poco distanti, intanati profondamente, preannunciano una cruenta battaglia al calare della notte. Le lunghe antenne di un coloratissimo gambero meccanico (Stenopus spinosus) fanno capolino da un buco e, di fronte, si agitano minacciose le chele di una Galathea strigosa. Enormi esemplari di tunicato Botrillus schlosseri spiccano dalle pareti con la loro tipica colorazione arancione; alcuni raggiungono anche un'altezza di 25 centimetri. Numerosi gli esemplari di Halocynthia papillosa e di Pinna nobilis, presenti un po' ovunque: tra la posidonia, sulla sabbia e tra le rocce, nelle posizioni più impensabili. Frequenti, anche se di piccole dimensioni, le aragoste. Non mancano le specie ittiche tipiche del Mare nostrum: Coris julis, Thalassoma pavo, Serranus scriba e cabrilla, Mullus barbatus, Cromis cromis e quasi tutte le specie di sarago. Non si tratta di soggetti facili da fotografare; la macro è sicuramente più "redditizia", visto che gli spunti per le foto ambiente sono davvero pochi. L'unica occasione che avrebbe potuto fruttare scatti suggestivi ci è sfuggita a causa della rapidità con cui i soggetti si sono presentati: un bel branco di argentati barracuda, fugaci e misteriosi, un incontro davvero poco comune nel Mediterraneo, ma a quanto sembra abbastanza frequente nelle acque Ioniche (vedi Aqvua ottobre pag. 64). Anche un grosso trigone poteva essere un bel soggetto da immortalare se non ci fossimo posati proprio sopra di lui. No, non si è trattato di un nostro banale errore, ma della sua abilità nel mimetizzarsi rendendosi invisibile nella sabbia. La profondità massima di 21 metri ci consente una lunga permanenza senza tappe di decompressione. Risaliamo lentamente sulla cima dell'ancora, guardandoci attentamente intorno, nella speranza che riappaia la nuvola argentata dei barracuda, ma non siamo così fortunati. D'altronde, come si suol dire, "ogni lasciata è persa". Terminata questa sommozzata, il responsabile del "Mare del Sud" Diving Club - Carmine De Maglie - con cui ci siamo immersi, ci porta a esplorare un posto piuttosto inconsueto. Si tratta della foce del fiume Chidro, un'oasi di rara bellezza che meriterebbe sicuramente maggiore attenzione e protezione; situata a pochi metri dalla litoranea salentina, questa fonte di acqua dolce è diventata un suggestivo luogo di immersioni, assolutamente da non perdere. Ciò che colpisce subito è l'acqua fresca e limpidissima insieme al contrasto con la sabbia bianca del fondo e il verde smeraldo delle alghe. Intorno ai 10 metri, la massima profondità raggiungibile, è visibile lo sgorgare del getto di acqua dolce dalle viscere della terra. Nascosti sul tappeto soffice di alghe vivono innumerevoli piccoli pesci e crostacei, testimoni della varietà di generi che i diversi ambienti possono originare. Questa zona, inoltre, è una delle più importanti del litorale ionico dal punto di vista archeologico. Proprio in direzione della foce del fiume Chidro, infatti, giacciono famosi sarcofagi di marmo, chiamati le "vasche del re". Entrando in acqua dalla spiaggia, a soli 5 metri di profondità, si osserva uno spettacolo di insolita bellezza. Il marmo, analizzato da alcuni ricercatori, risulta di origine greca, di buona qualità e del tipo utilizzato di solito per la costruzione delle statue. Dopo un'attenta ricostruzione si pensa si tratti del carico di una nave proveniente dall'Egeo e diretta a Roma che naufragò tra il 150 e il 300 d.C. I ruderi di un molo sommerso testimoniano l'esitenza di un antico porto o di uno scalo. I sarcofagi, vera chicca per gli amanti di archeologia, sono simili a un esemplare conservato al Metropolitan Museum di New York. Un'altra immersione piacevole, che suscita molti interrogativi, è una foresta pietrificata e sommersa che viene fatta risalire a due milioni di anni fa.
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